La domanda che ne consegue è: anche nelle altre provincie si è provveduto alla raccolta di firme con una iniziativa del genere, ovviamente adattando la lettera di accompagnamento alle realtà provinciali, caso per caso, provincia per provincia?
Oppure a Vercelli Biella si fa una cosa, a Cuneo un'altra e nel VCO un'altra ancora? Le organizzazioni sindacali (e i sindacalisti della medesima sigla) sono unitari nei passi da compiere o ognuno compie la propria iniziativa sgretolandosi in diverse singole decisioni?
Quella che segue, è la lettera scritta da alcuni colleghi e gentilmente condivisa sul Blog a beneficio di chi ne voglia prendere spunto, commentare, allo scopo ultimo di fare gruppo e sbiadire il concetto "divide et impera"
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO:
All'assessore
Valmaggia
Al presidente
Chiamparino
Un anno fa
durante l'incontro con le rappresentanze sindacali, l'assessore
Valmaggia aveva illustrato il costituendo
Ente foreste del Piemonte, in merito al quale rimaneva solo da
decidere da parte della Giunta la ragione giuridica; la L.R. 1/2015
all'art.17 confermava la costituzione di un'Agenzia delle foreste
formata da impiegati e tecnici dell'IPLA e degli operai (e impiegati)
forestali.
Un anno dopo,
dell'Agenzia non si sa più nulla, è stata attuata la
riorganizzazione dei servizi regionali, ed i forestali parcheggiati
presso i rispettivi "uffici provinciali", dove sono stati
nominati
5 nuovi
dirigenti, che si raccordano con un Datore di lavoro.
Negli anni
della crisi gli operai forestali sono stati immensamente pazienti,
hanno subito le stesse regole del personale della pubblica
amministrazione: nessun rinnovo contrattuale, blocco delle assunzioni
e blocco del turn-over, nonostante non godano delle prerogative
normative, salariali e previdenziali dei dipendenti pubblici.
Benchè
nessuna norma contrattuale lo preveda, inoltre, tutti gli operai sono
assunti a tempo determinato per almeno quattro anni; sono assunti al
primo livello, anche se fossero laureati alla Normale di Pisa, anche
se avessero lavorato fino al giorno prima con la stessa mansione,
questo perchè, in tempi preistorici, quando gli operai erano
assunti all'ufficio di collocamento, le assunzioni numeriche potevano
essere effettuate solo per il personale generico. Ora accade, che il
personale assunto dopo il 2003 è rimasto bloccato a tempo
determinato, ed a basso livello salariale, eccetto gli ad personam.
Questi stessi operai a tempo determinato , avevano ottenuto
nell'ultimo CIR di effettuare 164 giornate lavorative (inclusi i
sabati non retribuiti) anziché 156, in quanto le nuove norme
previdenziali sulla disoccupazione agricola comportavano una
riduzione di circa 300€ dell'importo corrisposto dall'INPS (1 anno
dopo) in base alla legge precedente.
E' quindi
veramente indecente che ogni anno questi lavoratori debbano essere
quelli che si vedono decurtato il loro già magro salario, che ogni
anno si senta che non ci sono fondi su questa voce di spesa, dopo che
il Consiglio Regionale ha votato (2010) l'attribuzione di parte delle
entrate dei canoni idrici a copertura.
Perchè non
sono state effettuate assunzioni a tempo indeterminato usufruendo
degli sgravi previdenziali previsti dalla legge 190/2014 ? Alla quale
sono ammessi <anche organismi pubblici interessati da processi di
privatizzazione indipendentemente dalla proprietà pubblica o privata
del capitale> [INPS servizi, Circolare n.17 del 29/1/2015]
Alla fine del
2015 la Vercelli Biella cui facevano capo 56 operai, ne ha in
organico 41, in 9 squadre ed 1 vivaio; di questi solo 27 sono operai
a tempo indeterminato, e 4 in forza al vivaio di Albano. I 23 operai
rimasti in servizio durante questo autunno-inverno, come coprono
l'intero comprensorio?
Senza una
riorganizzazione del lavoro, basata sulle attuali esigenze,
l'organizzazione vigente : 5 uomini (dei quali 1 caposquadra, e 1
vicecapo con relativa indennità), un mezzo, un centro di raccolta e
rimborso chilometrico, risulta rigida e dispendiosa, pesante per i
lavoratori, dispersiva e poco produttiva, mentre la creazione di
cantieri reali, dove si possano prevedere anche operazioni
economiche, come previsto dal contratto (filiera del legno,
manutenzioni meccaniche, preparazione dei materiali) da effettuare in
caso di maltempo, e squadre create sulla base delle esigenze
effettive, potrebbero garantire più efficienza e minori costi,
nonchè una migliore continuità del lavoro.
L'altra
rigidità è la "scala gerarchica", che mortifica ogni
creatività, finalizza la sicurezza al non aver grane, rende ogni
scelta ineluttabile, fino all'irrazionale, non riconosce competenze.
E' una scala
gerarchica mutata dalla affiliazione originaria al Corpo forestale,
dove i forestali erano i civili, che facevano qualcosa di "totalmente
altro", che non dovevano essere né conosciuti , né informati.
Le nostre OOSS devono elemosinare un incontro, per ottenere
informazioni generiche e sfuggenti, somministrate in commissione
rigorosamente ristretta. Gli strumenti contrattuali vanificati
dall'emergenza economica , le poche comunicazioni ottenute,
contrastano con quelle che hanno i direttori lavoro, quelli che fanno
visite sfuggenti, che si guardano bene dall'interferire con il
caposquadra, e tantomeno con il dirigente, quelli cui compete il
premio di produzione ci siano o meno soldi a bilancio.
I forestali
sono cittadini che amano le montagne e il territorio dove vivono e
vorrebbero vederlo curato nel migliore dei modi, con programmazione e
competenza, anziché svolgere lavori sporadici, male organizzati, o
ininfluenti.
Come cittadini
del Piemonte, sappiamo bene che ci sono gravi difficoltà economiche,
che ci sono servizi vitali che hanno la precedenza sul nostro, ma
rivendichiamo, anche il nostro, come servizio essenziale nella difesa
idrogeologica del territorio montano, e nella prevenzione dei
dissesti idrogeologici
Il lavoro degli
operai forestali è sempre stato legato alla bonifica montana, per
questo motivo, è stato trasferito alle regioni insieme alle relative
competenze.
La recente
riforma delle autonomie locali, la trasformazione delle Comunità
montane in Unioni montane, che promuove l'associazionismo dei piccoli
comuni per dotarsi di servizi; la costituzione degli Enti di area
vasta, a loro volta con competenze in materia di tutela ambientale,
non deve far perdere di vista che la bonifica montana, già Regio
decreto del 1933, finalizza la conservazione e tutela di un
territorio montano, ad un impulso al suo sviluppo economico, e
comporta la costituzione di consorzi per la gestione e manutenzione
delle opere effettuate, attraverso il riparto delle spese tra i
proprietari sia pubblici che privati, che ne ricavano un beneficio, o
un incremento di valore.
La bonifica
montana, non è un servizio, non compete con sanità, scuola,
trasporti, assistenza, è un investimento su territorio, la cui
conservazione ricade su quanti realizzano il beneficio che ne deriva.
Il piano di
sviluppo rurale dovrebbe portare al Piemonte un miliardo di euro; il
prossimo febbraio dovrebbero essere stanziati dall'Unione europea i
fondi per contrastare il dissesto idrogeologico eppure non si fa un
passo avanti nella definizione delle competenze, nel prefigurare un
futuro.
Di fronte a una
legislazione che non manca di potenzialità, prevale forse la volontà
di abbandonare il settore forestazione al declino, buttando via tutti
gli investimenti fatti in formazione, sicurezza, strutture,
proprietà, perchè il privato è meno impegnativo, o perchè
l'autismo del servizio gli impedisce di formulare relazioni
alternative?
Di fronte a
questa inerzia, i lavoratori forestali hanno l'impressione di non
essere altro che un pacchetto di alcuni milioni di euro che può
essere dato in dote a questa o quella voce di bilancio, in attesa
della sua progressiva insignificanza.
Chiediamo
quindi alle Unioni Montane, all'Ente di area vasta, ai Comuni, alle
Organizzazioni Sindacali territoriali, alle Organizzazioni
professionali, agli enti economici, di non rinunciare al dibattito
locale, delegando tutto ai vertici regionali, come se individuare le
opportunità locali costituisse già una voce fuori dal coro; di non
rinunciare a interpretare la salvaguardia del territorio come
opportunità di lavoro e di ripresa economica, accontentandosi invece
di dare solo un nuovo nome alle cose, ma non una diversa sostanza; di
non sospendere ogni mossa ogni giudizio quasi che il pensare stesso,
il prefigurare un futuro fosse compito esclusivo di alcuni e non
potesse essere esercitato anche in Valsesia , o in Valsessera,
piuttosto che a Torino. I cambiamenti incisivi e duraturi sono sempre
partiti dal basso, come dice il proverbio... chi si fa pecora, il
lupo se lo mangia!
[seguono firme ]