sabato 28 settembre 2013

Diritti e rovesci


I lavoratori nel nostro paese godono di certi diritti. Chi più chi meno. 
Nel settore forestale, ad esempio, gli operai e tempo indeterminato godono di più diritti rispetto a quelli a tempo determinato, come si può facilmente notare dando un’occhiata al nostro Contratto Collettivo Nazionale.
In ogni caso si tratta di diritti molto importanti che, è bene ricordarlo, non sono piovuti dal cielo, ma sono il risultato di decenni di lotte sindacali combattute da lavoratori uniti e determinati. Lotte di tanti anni fa.
Per fare alcuni esempi, godiamo del diritto di sciopero, oppure abbiamo una serie di permessi retribuiti per licenzia matrimoniale, per maternità, per il diritto allo studio, per la donazione di sangue, per l’assistenza ai figli o ai genitori disabili. Spesso si tratta di diritti sanciti nella nostra Costituzione, ancor prima che nel nostro CCNL.
Dunque tutto bene? No. 
Perché questi diritti sono stati duramente conquistati in anni lontani, in cui l’economia galoppava, i sindacati facevano il loro lavoro ed i lavoratori erano più consapevoli. Poi purtroppo, soprattutto nell’ultimo ventennio, i tempi sono drammaticamente cambiati…

Facciamo un esempio. La riforma Fornero ha introdotto la "pensione anticipata", stabilendo che per andare in pensione prima dell’età anagrafica prevista (in questo momento 66 anni e tre mesi per gli uomini e un minimo di 62 e tre mesi per le donne) servono (nel 2013) 42 anni più 2 mesi di contributi versati per gli uomini e 41 più 2 mesi per le donne. Di fatto però non sono  “buoni” ai fini del conteggio dei 42 e rotti anni i giorni in cui un lavoratore è stato assente per permessi retribuiti per motivi familiari, lutto, diritto allo studio, donazione del sangue, sciopero. 
Ma c’è di peggio: non valgono nemmeno i giorni di assenza per la legge 104/1992 (che riconosce permessi retribuiti per l’assistenza di un figlio disabile) e addirittura il congedo parentale (ex maternità facoltativa). Se nel computo dei 42 e rotti anni ci sono delle giornate così, coperte solo da contributi figurativi (e spesso si tratta di un totale di vari mesi), scatta la decurtazione dell'assegno di pensione (dell'1% o del 2%, a seconda dei casi): l'alternativa è una sola, restare al lavoro per recuperare i giorni mancanti. 
In parole povere la legge dice: “Hai il diritto allo studio perché è previsto dalla Costituzione, quindi non vorrai mica anche avere il diritto alla pensione?”, e anche: “Hai un figlio disabile? Bene, allora non vai più in pensione.” Come dire… cazzi tuoi!

Ma ciò che ci dovrebbe davvero spaventare non è questo, bensì una cosa ancor più grave: il silenzio dei sindacati. Quella sensazione di casa abbandonata, di deserto totale, quella specie di silenzio-assenso, o omertà, chiamatela come volete, tipica di chi è complice di un sistema che… beh, lascio a voi, cari colleghi, definire come meglio preferite.

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